26/05/15

Caro fratello bianco (bilanci e sogni)


Sono stati mesi intensi, proprio! Mesi in cui alle tante cose dette su giornali e televisioni sui centri di accoglienza per rifugiati ho avuto la possibilità di sovrapporre quello che i miei occhi hanno visto, nonostante certamente fosse una visione parziale. Mesi di poche mezze misure e tanti "troppo" o "troppo poco".
Alcune delle cose che son state "troppo":  la fatica fisica, il sonno arretrato, lo stress, i compromessi e le porcate da mandar giù, le responsabilità prese che non erano le mie, i turni di notte (!!!), le ore in macchina imbottigliata nel traffico.
Tra i "troppo poco" direi: tempo ed energie disponibili per altro oltre al lavoro, il numero di giorni liberi a settimana (dovrebbe esser illegale un numero minore di due!!!), i risultati che avrei voluto vedere e non ho visto, la reale possibilità di poter cambiare le cose, i "no" detti, lo spazio che ho dedicato a me stessa e alle persone che amo, il tempo in cui ho avuto le mani sporche di terra.
Nonostante tutto il bilancio di questa esperienza è positivo, come forse non avrei creduto all'inizio di questa avventura.

Quando ho iniziato a lavorare nel centro di accoglienza la prima cosa che ho dovuto accogliere probabilmente sono stati i miei limiti e i miei pregiudizi. Quando penso che all'inizio avevo quasi paura di quelli che poi sono diventati per me come fratelli mi viene da sorridere di quanto poco fossi capace di vedere col cuore. A nove mesi di distanza da quell'inizio, vedere come quelle paure e quei pregiudizi si sono letteralmente sbriciolati nella loro inconsistenza è bello. Dono prezioso vederli svanire per far posto alla relazione. Una relazione forse poco da "utente-operatore" (seppur ancora poco chiare ne abbia alcune dinamiche o la forma ideale, se una ce n'è) e più da "fratello minore-fratello maggiore" ma tant'è.. deformazione "professionale" forse, ma è l'unica forma educativa che sento davvero profondamente stare nella mia pelle.
Ad esperienza conclusa mi porto a casa tanto: uno sguardo sul mondo che prima non avevo, la consapevolezza del fatto che dolore, sofferenza, gioia, amore non hanno un colore, un po' di sana rabbia e indignazione, la determinazione a continuare a dire dei sani "no", un'ottantina di fratelli e una valangata di affetto ricevuto, il cuore pieno, una buona dose di fiducia in me stessa e nelle mie capacità, la consapevolezza che il progetto di vita che avevo prima di questo lavoro continua a chiamarmi.
Riporto un frammento di un brano che una preziosa amica ha condiviso con me qualche giorno fa..

"C'è bisogno di sognarli, i passi nuovi, molto prima che pensarli. [...]
Tante volte ci sentiamo dire, "mi raccomando, sii realista" pensando che il realismo sia un elemento positivo, un modo bilanciato e concreto di guardare ciò che viviamo.
Ma il realismo non fotografa la realtà, piuttosto la frena: non ce la fa guardare per migliorarla, ma per trattenerla, per dirci che 'non ne vale la pena', che è meglio fare un passo in meno piuttosto che uno in più. Il realismo non produce la realtà, la ingabbia.
Sono invece i sogni che producono la realtà, perché le offrono una direzione, un obiettivo, un tesoro da scoprire".

Si tratta, allora, di rimboccarsi le maniche ancora una volta.
E ricominciare a sognare alto.

Chiudo con la copertina di un libro di poesie che mi è capitato tra le mani in questi mesi. Mi pare un modo carino, ironico, di invitare a visioni più ampie della realtà:
"Caro fratello bianco,
quando sono nato, ero nero,
quando sono cresciuto, ero nero,
quando sto al sole, sono nero,
quando sono malato, sono nero,
quando morirò, sarò nero.
Mentre tu, uomo bianco,
quando sei nato, eri rosa,
quando sei cresciuto, eri bianco,
quando prendi il sole, sei rosso,
quando hai freddo, sei blu,
quando hai paura, sei verde,
quando sei malato, sei giallo,
quando morirai, sarai grigio.
Allora, di noi due,
chi è l'uomo di colore?"


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